fondo patrimoniale e atti di disposizione
Not. Gea Arcella, chiede:
Chiedo ai colleghi della
lista un parere sulla seguente fattispecie: due coniugi stipulano una
convenzione di costituzione fondo patrimoniale, sottoponendo a vincolo le quote
di loro proprietà - un mezzo ciascuno - su di un immobile adibito a loro
residenza familiare, per quanto riguarda gli atti dispositivi espressamente
convengono la necessità di autorizzazione giudiziale in presenza di figli
minori; gli stessi coniugi, con tre figli minorenni, vorrebbero ora stipulare
una donazione con cui uno solo di loro diventi unico proprietario del bene
medesimo.
Ora mi chiedo e chiedo il
vostro conforto: trattasi di un atto ricadente tra quelli previsti dall'art.
169 c.c.?
Ovvero, l'atto di donazione
è sì un atto astrattamente dispositivo, ma nel caso concreto non intacca la
condizione giuridica del bene oggetto del fondo che permane in proprietà di uno
dei due coniugi e rimane comunque destinato ai bisogni della famiglia; in
questo caso l'autorizzazione giudiziale, voluta essenzialmente per controllare
le finalità dell'atto dispositivo ed eventualmente il reimpiego del ricavato,
che ragion d'essere avrebbe?
E’ stato risposto (chi
ha risposto?, occorre il nome!)
Cara Gea,
vorrei fare qualche
riflessione sul caso in oggetto, premettendo che in materia di fondo
patrimoniale vi è un'estrema eterogeneità di opinioni in dottrina e una scarsa
giurisprudenza (nell'ambito della quale, vi sono prevalentemente decisioni
riguardanti i rapporti fra il fondo e l'azione revocatoria, ordinaria e
fallimentare).
1. Patrimonio familiare e atti dispositivi.
Secondo l'art. 170 del
codice civile del 1942 (nel testo anteriore alla riforma del 1975), i beni
facenti parte del patrimonio familiare non potevano essere alienati, se non
previa autorizzazione del giudice, nei casi di necessità o di utilità evidente
e, in quest'ultimo caso, con determinazione delle modalità di reimpiego del
prezzo.
In tal caso, l'alienazione
era posta in essere dal soggetto titolare del diritto di proprietà sul bene
[non vi era - come oggi - un riferimento alle norme sulla comunione dei
beni in ordine agli atti di amministrazione - e quindi anche agli atti di
disposizione - aventi ad oggetto i beni del fondo (vedi l'attuale art.
168, terzo comma, c.c.)].
La disposizione non
consentiva che, nell'atto costitutivo del patrimonio familiare,
fosse prevista la non necessità dell'autorizzazione in caso di alienazione
di un bene.
I concetti di necessità e di
utilità evidente sono uguali nella disciplina del 1942 e nella disciplina del
1975. L'ipotesi della necessità ricorre quando la situazione economico-patrimoniale
della famiglia è critica, al punto che - per evitare pregiudizi maggiori - è
necessario liquidare un bene, ossia trasformarlo in denaro, per far fronte a
bisogni fondamentali. L'ipotesi dell'utilità evidente ricorre quando vi è
l'opportunità di alienare il bene e di reinvestire il ricavato in modo più
redditizio, purchè la convenienza dell'investimento alternativo sia pressochè
sicura; il vincolo graverà poi sul bene o sui valori acquistati con detta
somma o sul bene acquisito a titolo di permuta.
Data la disciplina sopra
descritta - ed in particolare il riferimento alla determinazione giudiziale
delle modalità di reimpiego del prezzo - non era consentita la
donazione di beni facenti parte del patrimonio familiare.
2. Fondo patrimoniale e atti dispositivi.
L'art. 169 c.c. (nel testo
risultante dalla riforma del diritto di famiglia) contiene alcune novità:
a)
la disciplina dispositiva è la seguente: se non vi sono figli minori,
l'alienazione può essere posta in essere dai coniugi - con il loro consenso
congiunto - senza necessità di autorizzazione giudiziale; se vi sono figli
minori, sono necessari il consenso congiunto dei coniugi e l'autorizzazione
giudiziale (che può essere concessa se sussiste la necessità o l'utilità
evidente);
b)
mediante la formula "se non è stato espressamente consentito
nell'atto di costituzione", posta all'inizio della disposizione, si
consente di prevedere una deroga alla disciplina dispositiva sopra
descritta, deroga che consente di ampliare la sfera di autonomia negoziale
spettante ai coniugi (o al terzo costituente); come vedremo, sulla portata di
tale deroga vi sono opinioni diverse in dottrina;
c)
non compare più il riferimento espresso alla necessità della
determinazione del reimpiego del prezzo.
Dai lavori preparatori
risulta che la nuova disciplina (che estendeva sotto più profili le possibilità
di alienazione) fu introdotta perchè si ritenne che la disciplina precedente
(ispirata ad una regola di inalienabilità appena temperata) fosse stata una
delle cause principali della modesta diffusione del patrimonio
familiare nella prassi (nella fase preparatoria della riforma vennero
effettuate alcune indagini statistiche, dalle quali emerse - fra
l'altro - che esisteva un patrimonio familiare ogni diecimila matrimoni e che,
nel periodo 1940-1968, la Cassazione si era occupata della figura giuridica
citata solo cinque volte).
Risulta inoltre che la
soluzione normativa prescelta venne giudicata idonea a consentire un uso più
flessibile dell'istituto e a rispettare l'esigenza - talora presente - di
garantire le attività commerciali che fossero connesse con i beni
costituiti in fondo patrimoniale [in questo senso anche Pret. Barra 8.12.1978
(in Foro it., 1978, I, 1031)].
La portata della deroga
consentita (alla disciplina dispositiva) è controversa.
A)
Secondo l'opinione prevalente, si può prevedere sia la non necessità
del consenso congiunto dei coniugi sia la non necessità dell'autorizzazione in
presenza di figli minori [Trib. Roma 27.6.1979 (in Riv. not., 1979, 952);
Trib. Trapani 26.5.1994 (in Vita not., 1994, II, 1559, con nota favorevole
di Valeria Buttitta), Finocchiaro, Carresi, Santosuosso, Mazzacane, Russo,
Mazzocca].
B)
Secondo un'altra opinione, si può prevedere la non necessità del
consenso congiunto dei coniugi ma non la non necessità dell'autorizzazione in
presenza di figli minori [Cian e Casarotto].
C)
Secondo un'altra opinione, si può prevedere la non necessità
dell'autorizzazione in presenza di figli minori ma non la non necessità del
consenso congiunto dei coniugi [Iannuzzi, De Paola].
Dal momento che la
disciplina attuale consente di derogare alla necessità dell'autorizzazione (la
quale presuppone la necessità o l'utilità evidente dell'alienazione) e non
richiede più espressamente la determinazione del reimpiego del prezzo, ad un
esame superficiale si potrebbe ritenere che sia consentita la donazione di beni
costituiti in fondo patrimoniale.
Tuttavia, così non è.
Da una lettura complessiva
dei contributi dottrinari sull'argomento risulta che, in ogni caso,
l'alienazione è consentita solo se risponde a ragioni di necessità o di utilità
per la famiglia.
E’ significativo che anche
quella dottrina che accoglie la nozione più ampia di deroga alla disciplina
dell'art. 169 c.c., ammettendo la massima estensione - nella materia in esame -
dell'autonomia negoziale, svolge le seguenti considerazioni (con
riferimento all'ipotesi del coniuge che possa alienare da solo e senza
autorizzazione): "si tratta di legittimazione attribuita nell'interesse
altrui, per l'obbligo che gli incombe sia di alienare i beni soltanto
quando sia necessario per far fronte ai bisogni della famiglia, sia di
destinare ciò che ricaverà dalla loro alienazione al soddisfacimento di tali
bisogni" (Carresi, in "Commentario alla riforma del diritto di
famiglia" a cura di Carraro-Oppo-Trabucchi, I, 1, Cedam, 1977, p. 356).
Pertanto, in linea di
principio, non è consentita neanche oggi la donazione di beni costituiti in
fondo patrimoniale. Probabilmente, sono ammissibili limitate eccezioni,
nelle ipotesi in cui si mantenga la titolarità dei beni in capo ai coniugi [si
veda in proposito il paragrafo 4].
Conseguenze
della violazione di detta disposizione.
Nell'ipotesi in cui i
coniugi (o il terzo costituente) non abbiamo previsto la clausola di deroga, si
applica la disciplina dispositiva dettata dall'art. 169 c.c..
Qualora sia posto in essere
un atto di alienazione in violazione di tale disposizione, ossia da un solo
coniuge senza il consenso dell'altro (in mancanza di figli minori) oppure da un
coniuge o da entrambi senza autorizzazione giudiziale (in presenza di figli
minori), quali sono le conseguenze?
In dottrina, la risposta non
è univoca.
A)
Secondo alcuni, l'atto di alienazione è nullo, per violazione di norma
imperativa, ai sensi del combinato disposto degli artt.169 e 1418 c.c.
[Gabrielli, De Paola, Macrì, Grasso B. (in Trattato Rescigno), Pacia
Depinguente].
B)
Taluno ha obiettato che la norma dettata dall'art. 169 c.c. non è
imperativa in quanto è derogabile. Si è risposto (Gabrielli, "Patrimonio
familiare e fondo patrimoniale", in Enc. dir., vol. XXXII, Giuffrè, 1982,
p. 305) che la derogabilità non basta ad escludere l'imperatività, in quanto la
deroga, per valere, deve essere non soltanto preventiva ma anche pattuita in
forma solenne, al pari dell'atto costitutivo (del fondo) al quale accede.
C)
L'opinione A) potrebbe essere criticata anche sotto un altro profilo.
Si potrebbe obiettare che è irrazionale e non coerente affermare
contemporaneamente la conseguenza della nullità in caso di violazione dell'art.
169 c.c. (disposizione derogabile) e la conseguenza dell'annullabilità (ex
art.184 c.c.) in caso di violazione dell'art. 180 c.c. (disposizione
inderogabile, come dispone l'art. 210, ultimo comma, c.c.). A questa obiezione
si potrebbe replicare sottolineando una delle differenze esistenti fra il fondo
patrimoniale e la comunione legale: i beni costituiti in fondo patrimoniale sono
destinati a far fronte ai bisogni dell'intero nucleo familiare (coniugi e
figli), mentre i beni in comunione legale possono essere destinati a far fronte
a qualsiasi bisogno dei singoli coniugi, anche se estraneo agli interessi della
famiglia [detta differenza è messa in luce da Carusi ("Il negozio
giuridico notarile", Giuffrè, 1980, p. 284) e da Lenzi ("Struttura e
funzione del fondo patrimoniale", in Riv. not., 1991, in particolare p.
53)].
D)
Secondo altri, l'atto di alienazione è inefficace e sanabile, in
conformità ai principii generali e in mancanza di una previsione specifica
analoga a quelle degli artt. 184 e 322 c.c. [Finocchiaro, Cian e
Casarotto]; a giudizio di questa dottrina, la sanatoria può essere operata
mediante un'altra dichiarazione resa dal coniuge pretermesso (avente la stessa
forma richiesta per l'atto) e, se esistono figli minori, mediante
l'autorizzazione giudiziale.
E)
Secondo altri, l'atto di alienazione è annullabile, ai sensi dell'art.
184 c.c. [Carresi, Bianca].
4.
Il caso proposto.
Nel caso in oggetto -
secondo quanto risulta dalla descrizione che ne è fatta - i coniugi hanno
la comproprietà - per la quota indivisa di 1/2 ciascuno - di un bene immobile
costituito in fondo patrimoniale.
Poichè si fa riferimento a
delle quote, i coniugi sono comproprietari dell'immobile a titolo di
comunione ordinaria [o perchè hanno acquistato in regime di separazione
dei beni, intestando il bene a entrambi, o perchè - pur essendo in comunione
legale - hanno acquistato l'immobile prima del matrimonio, intestandolo a
entrambi (ho citato solo le ipotesi più probabili, in quanto ve ne sono altre
possibili)]. Adesso, i coniugi vogliono stipulare una donazione in virtù della
quale uno di essi diventi unico proprietario (e quindi, in virtù della quale
venga trasferita da un coniuge all'altro la quota di 1/2 di comproprietà
sull'immobile).
Come si è detto nel
paragrafo 2, in linea di principio, la donazione di beni costituiti in fondo
patrimoniale non è consentita.
Nell'ipotesi di donazione a
terzi, non sussiste quella necessità o utilità per la famiglia che deve essere
alla base dell'alienazione, anche quando questa può essere posta in essere da
un solo coniuge e senza autorizzazione.
Tuttavia, se la donazione è
posta in essere fra i coniugi, non pare impossibile pervenire ad una risposta
diversa.
Non si deve dimenticare -
infatti - che nel fondo patrimoniale ha maggiore importanza la
destinazione dei beni (a far fronte ai bisogni della famiglia) rispetto
alla titolarità formale del diritto di proprietà sui beni stessi. Come è stato
osservato, nel fondo patrimoniale è preminente e caratterizzante la
"funzione destinatorio-attributiva, ..., intesa come vantaggio ...
nell'interesse della famiglia", della quale "non sembra potersi mai
escludere la sussistenza" (Lenzi, "Struttura e funzione del fondo
patrimoniale", in Riv. not., 1991, p. 53 seg., in particolare p. 79-80);
invece, la funzione traslativa può non esserci, "è ... proprio la presenza
e la misura dell'effetto traslativo a costituire elemento ininfluente sul tipo
negoziale" (Lenzi, loc. cit.); il fondo patrimoniale è quindi un
"autonomo tipo negoziale a funzione destinatoria-attributiva necessaria e
funzione traslativa eventuale" (Tamburrino, "Lineamenti del nuovo
diritto di famiglia", UTET, 1978, p. 222). La dottrina citata - inoltre -
raccomanda di interpretare le disposizioni relative al fondo patrimoniale in
modo coerente al suo scopo, ossia in modo da consentire che detto strumento
assicuri effettivamente "la destinazione dei beni al soddisfacimento dei
bisogni della famiglia", evitando un'interpretazione meramente letterale
delle disposizioni in tema di amministrazione e di esecuzione, che
"condurrebbe alla ricostruzione di un istituto velleitario, incapace di
assolvere alla funzione che l'ordinamento ha inteso riconoscergli" (Lenzi,
op. cit., p. 56).
Ebbene, se accogliamo questo
richiamo forte all'importanza della funzione dell'istituto, ci accorgiamo che
essa non sarebbe minimamente intaccata da un atto di donazione in virtù del
quale fosse trasferita da un coniuge all'altro la quota indivisa di un 1/2 di
comproprietà sull'immobile.
Vi sarebbe una variazione
nella titolarità del diritto di proprietà, ma rimarrebbe del tutto integro ed
operante il vincolo.
Nella fattispecie proposta,
l'atto costitutivo del fondo prevede la necessità dell'autorizzazione
giudiziale in presenza di figli minori.
Si può quindi proporre
ricorso al Tribunale, esponendo le ragioni che fanno ritenere l'atto di
donazione stipulabile (nonchè - se sussistono - eventuali ragioni di utilità;
si pensi, ad esempio, alla possibilità - per il coniuge che cede il suo diritto
- di acquistare un altro immobile con le agevolazioni prima
casa, immobile da costituire poi in fondo patrimoniale, con un risultato
finale vantaggioso per la famiglia nel suo complesso).
Se il Tribunale riterrà
decisiva la constatazione della mancanza dei presupposti di necessità o
utilità, negherà l'autorizzazione.
Se il Tribunale accerterà la
sussistenza del presupposto dell'utilità oppure riterrà decisiva la
constatazione della mancanza di ogni effetto pregiudizievole per gli scopi del
fondo e gli interessi della famiglia, accorderà l'autorizzazione. In ogni caso,
vale la pena di proporre l'istanza.
Nell'ipotesi in cui l'atto
costitutivo del fondo prevedesse la deroga esaminata nel paragrafo 2 (ossia la
non necessità di consenso congiunto nè di autorizzazione), proporrei
egualmente ricorso al Tribunale, chiedendo una sua decisione; ciò, in quanto
solo in presenza di un'autorizzazione giudiziale riterrei di ricevere l'atto in
esame, la cui ammissibilità discende da una serie di valutazioni (comunque
opinabili) e non è sostenuta da precedenti (nè in giurisprudenza nè nella
prassi).
Un'ultima osservazione sul
caso proposto.
Qualora i coniugi fossero
stati in regime di comunione legale dei beni, avrebbero dovuto prima
adottare il regime di separazione dei beni; solo dopo, avrebbero potuto
stipulare la donazione avente ad oggetto la quota di 1/2 di comproprietà sul
bene.